La CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) è al centro di uno dei più complessi processi di revisione normativa degli ultimi anni. Nata per ampliare la trasparenza ESG delle imprese europee, si trova oggi in una fase di ripensamento critico: tra modifiche già approvate, proposte di semplificazione e un nuovo scenario che ridisegna completamente la platea di aziende obbligate a rendicontare.

Il 13 novembre è diventato una data spartiacque: l’Unione Europea ha proposto aggiustamenti e chiarimenti che impatteranno profondamente su chi sarà tenuto, a partire dal 2026, a redigere report di sostenibilità allineati agli ESRS (European Sustainability Reporting Standards). 

È un cambiamento che restringe il campo obbligatorio, apre nuove opportunità nel mercato volontario e costringe le aziende a ripensare la propria strategia di compliance e comunicazione.

Scopriamo cosa cambia rispetto allo scenario precedente, chi resta dentro o fuori dall’obbligo e quali opportunità si aprono per operatori, consulenti e imprese.

Cosa è successo il 13 novembre: il punto di svolta nella CSRD

La Commissione Europea, a seguito delle pressioni politiche e delle difficoltà operative segnalate dalle imprese, ha proposto una serie di modifiche con l’obiettivo di alleggerire gli oneri di rendicontazione. Le novità del 13 novembre hanno tre direttrici principali:

  1. Conferma dei posticipi e delle semplificazioni già introdotte nel Regolamento Delegato 2025/1416

Le imprese possono usufruire di esenzioni temporanee e di un phase-in graduale per molte informative complesse, tra cui biodiversità, catena del valore, emissioni Scope 3 ed effetti finanziari attesi.

  1. Allineamento con il pacchetto “Omnibus”

Il vero nodo politico riguarda la proposta di innalzare la soglia di applicazione obbligatoria a 1000 dipendenti (il Parlamento Europeo propone 1750), che ridurrebbe drasticamente le imprese tenute a rendicontare dal 2026.

Chi è ancora obbligato? Il mercato si restringe

Con le nuove soglie proposte dal pacchetto Omnibus, la platea CSRD 2026 potrebbe diventare molto più ristretta di quanto previsto inizialmente.

Tre gruppi rimangono comunque dentro con certezza (a meno di rivoluzioni normative ulteriori):

  1. Aziende con oltre 1000/1750 dipendenti

Sono le principali destinatarie del reporting obbligatorio. L’UE vuole puntare sulle imprese a maggiore impatto sistemico, ritenute più mature per la rendicontazione strutturata.

  1. Imprese già soggette alla NFRD

Banche, assicurazioni, enti di interesse pubblico di grandi dimensioni restano pienamente coinvolti: per loro gli obblighi non subiscono riduzioni.

  1. Multinazionali non UE con ricavi >150 milioni nella UE

Per queste imprese la CSRD rimane un obbligo imprescindibile, indipendente dal numero di dipendenti, con pubblicazione del primo bilancio nel 2029 (anno di rendicontazione 2028).

Chi esce dall’obbligo? Le grandi “liberate” dalla CSRD

La soglia dei 1000/1750 dipendenti introdurrebbe una delle più massicce riduzioni dell’ambito CSRD mai considerate.

Aziende tra 250 e 999 dipendenti

È il segmento più impattato: molte grandi imprese che si erano già attivate per il compliance potrebbero improvvisamente uscire dal perimetro. Questo comporta:

  • meno costo di implementazione
  • minore pressione sui sistemi di raccolta dati
  • riduzione del perimetro di audit

Catene di fornitura

Sebbene restino richieste informative lungo la value chain, il volume dei dati necessari si ridurrebbe per effetto del minor numero di imprese direttamente obbligate.

Opportunità nel mercato volontario: una nuova frontiera per consulenti e provider ESG

L’uscita di molte aziende dall’obbligo CSRD non significa una riduzione della domanda. Anzi: sta emergendo un mercato volontario, potenzialmente più ampio e strategico del mercato CSRD “obbligatorio”.

Ecco perché.

  1. Le aziende “liberate” devono comunque rispondere ai clienti

Le imprese oltre i 1000/1750 dipendenti, ancora obbligate, richiederanno dati ESG ai propri fornitori, come:

  • KPI ambientali
  • politiche sociali minime
  • indicatori di governance
  • informazioni su rischi e opportunità climatiche

Chi resta fuori dalla CSRD, resterà comunque dentro ai questionari ESG dei propri clienti.

2. Le banche richiederanno indicatori ESG per il credito

Con l’allineamento alla Tassonomia UE e alle politiche di rischio climatico, gli istituti finanziari continueranno a sollecitare dati di sostenibilità anche alle imprese non obbligate dalla CSRD.

  1. L’opportunità per i consulenti

Per i consulenti del settore si apre una fase ricca di opportunità. Le imprese, pur non essendo obbligate alla rendicontazione, mostrano un forte interesse verso percorsi di sostenibilità più accessibili e semplificati

Cresce infatti la domanda di framework “leggeri”, ispirati alla logica degli ESRS ma meno onerosi da applicare, insieme al bisogno di formazione dedicata e di strumenti digitali intuitivi e user-friendly.

In questo contesto, il mercato ESG volontario si prospetta molto più ampio di quello regolamentato.

Come cambia la value proposition del reporting di sostenibilità

Gli operatori e i consulenti devono ripensare la propria offerta dopo le proposte di novembre e in vista della CSRD 2026.

Ecco le dimensioni della nuova value proposition.

  1. Dal “fare un bilancio di sostenibilità” al “gestire i rischi ESG”

In un contesto segnato da crescente incertezza normativa, il bilancio di sostenibilità non è più soltanto un adempimento formale, ma uno strumento strategico per comprendere e governare i rischi ESG. 

Le imprese devono analizzare la propria esposizione ai rischi climatici, valutare la vulnerabilità delle catene di fornitura, considerare le possibili ricadute reputazionali e prevenire i rischi legati all’inadempienza nei confronti dei clienti soggetti a obblighi più stringenti

In questo scenario la CSRD si afferma come un linguaggio condiviso che guida anche il mercato volontario verso standard comuni di trasparenza e responsabilità.

  1. Pacchetti modulari e scalabili

Non tutte le aziende avranno bisogno di una rendicontazione completa. Il nuovo mercato premierà soluzioni “a livelli”:

  • Livello 0: sola doppia materialità
  • Livello 1: KPI ESG essenziali
  • Livello 2: reporting parziale ispirato agli ESRS
  • Livello 3: compliance integrale per le imprese ancora obbligate

La scalabilità diventa parte centrale della value proposition.

  1. Formazione continua

Le imprese avranno la necessità di capire come evolvono le normative di anno in anno, aggiornare in modo continuo i team interni e strutturare processi di autovalutazione sempre più accurati. 

In questo contesto, la formazione diventa un asset commerciale di grande valore, fondamentale per supportare le aziende in un percorso di crescita consapevole e conforme.

  1. Riduzione della complessità

Le nuove soglie sono percepite come un alleggerimento, ma la complessità del panorama normativo non diminuisce. La vera value proposition diventa infatti: “Ti aiuto a mantenere la rotta, anche mentre le regole cambiano.”

CSRD dal 2026: due scenari possibili

Le imprese con un organico compreso tra 250 e 1000/1750 dipendenti devono prepararsi a due possibili evoluzioni normative.

Scenario A: la soglia a 1000/1750 dipendenti viene approvata

In questo caso, l’azienda non rientrerebbe più negli obblighi della CSRD ma resterebbe comunque soggetta alle richieste ESG provenienti da clienti, banche e partner di filiera

Continuerebbe quindi ad avere interesse verso un modello di reporting volontario, più leggero e proporzionato, per rispondere alle esigenze del mercato.

Scenario B: la soglia non passa

Se invece la soglia non dovesse essere approvata, l’impresa entrerebbe a pieno titolo nel perimetro CSRD nel 2026 e sarebbe chiamata ad accelerare l’implementazione di sistemi strutturati per la raccolta e gestione dei dati ESG

In questo scenario, le esenzioni transitorie assumerebbero un ruolo fondamentale per facilitare l’avvio della rendicontazione e per gestire progressivamente i temi più complessi introdotti dagli ESRS.

La doppia materialità come unico obbligo stabile

Nonostante posticipi, deroghe e semplificazioni, un punto rimane fermo: la valutazione di doppia materialità è e rimarrà obbligatoria.

Le aziende devono quindi mappare i propri rischi e impatti ESG, valutare la rilevanza dei temi da rendicontare e motivare con chiarezza eventuali omissioni. 

È proprio l’analisi di materialità a definire il livello di disclosure richiesto e gli investimenti necessari, anche nell’eventualità in cui l’impresa dovesse uscire dagli obblighi formali di rendicontazione.

La CSRD cambia, ma la sostenibilità resta una scelta strategica

Le modifiche proposte il 13 novembre segnano un nuovo capitolo per la CSRD, con un numero inferiore di imprese obbligate, una maggiore flessibilità e nuove soglie che ridisegnano il mercato, lasciando ampio spazio alle soluzioni volontarie e confermando il ruolo centrale della doppia materialità

Le aziende, in particolare quelle con 250–1000/1750 dipendenti, devono quindi evitare la paralisi: oggi più che mai è necessario sviluppare una strategia ESG che vada oltre i soli obblighi normativi. Ciò che cambia riguarda la forma della compliance, non la sostanza della sostenibilità. 

La vera domanda non è più “Devo rendicontare?” ma “Quanto mi conviene essere pronto?”. Per consulenti, provider digitali e professionisti del settore ESG si apre così una stagione ricca di opportunità: aiutare le imprese a orientarsi in un contesto in evoluzione e costruire modelli di reporting più efficienti, intelligenti e orientati al valore.

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